Il 13 Maggio del 1978, sotto la spinta di numerosi processi di de istituzionalizzazione attivi in diverse città italiane, veniva approvata la legge 180, conosciuta come “Legge Basaglia”.
Con essa venne introdotto un profondo e radicale cambiamento della prospettiva sociale e culturale nell’approccio alla patologia mentale. La tradizione custodialistica e stigmatizzante che aveva connotato i decenni precedenti fu progressivamente abbandonata in favore di un modello di cura aperto alla soggettività del malato, al suo reinserimento sociale e alla valorizzazione della sua libertà.
La rivoluzione anti istituzionale, che ha trovato nella figura di Franco Basaglia il suo massimo esponente, è stata teorizzata, promossa e attivata nel corso degli anni Sessanta e Settanta da diverse personalità italiane. Molte esperienze pionieristiche hanno preparato il terreno a questa svolta epocale.
In questa occasione vogliamo ricordare quella di Novara, città nella quale la struttura manicomiale fu riorganizzata sotto la direzione di Eugenio Borgna.
“Ogni istituzione psichiatrica, che non sia con-figurata dai malati stessi, non può sfuggire alla sua natura sostanzialmente alienante di schema ordinativo, e normativo, imposto ab externo. Il tentativo di ridare al malato psichico la libertà esistenziale di progettazione, e di ottenerne la decompressione sociogenetica, può riuscire nella sola misura in cui al malato sia offerta una possibilità di nuova declinazione dialogica con in mondo inter – personale; restaurando un nuovo “ordinamento” e nuovi confini entro i quali il malato possa esistere in una dimensione di autenticità e libertà.”
Eugenio Borgna, 1971
Psichiatra italiano e primario emerito di Psichiatria dell’Ospedale Maggiore di Novara, Borgna ha sostenuto con forza il superamento di un approccio naturalistico alla malattia mentale in favore di una prospettiva fenomenologicamente orientata. Ispirato dal pensiero di filosofi come Husserl, Binswanger, Heidegger e più in generale dalla tradizione filosofica tedesca e austriaca del primo Novecento, Borgna ha denunciato nelle sue pagine la questione psichiatrica a lui contemporanea evidenziando la necessità perentoria di ripensare l’intera struttura dei servizi destinati alla cura della patologia mentale.
Direttore dal 1970 del secondo ospedale psichiatrico di Novara, Borgna ha raccontato nei suoi scritti il dramma del sovraffollamento, dell’ossessiva ripetitività della vita all’interno dell’ospedale, della perdita di identità e della destorificazione della vita delle persone ricoverate. Negli anni trascorsi presso l’ospedale egli ha introdotto gradualmente un criterio di cura umano, attento al dialogo tra pazienti, personale infermieristico e medico.
Il processo di trasformazione attuato a Novara ha avuto come obiettivi la restituzione di spazi adeguati all’interno della struttura, la dislocazione dell’ospedale in un contesto più centrale e raggiungibile dalle diverse località dell’area di competenza, l’istituzione di momenti di scambio tra personale infermieristico e medico e l’introduzione di modelli terapeutici e occupazionali atti a favorire l’espressione di creatività e capacità della persona ricoverata.
Inoltre, per favorire lo scambio con l’ambiente esterno e ricostruire un dialogo con la comunità di riferimento, la strategia terapeutica ha previsto un potenziamento dell’assistenza extra ospedaliera, decentrando quindi l’assistenza psichiatrica e istituendo servizi di terapia ambulatoriale, servizi di assistenza e prevenzione rivolti ai pazienti dimessi, l’attuazione di visite domiciliari e sull’ambiente lavorativo, con la conseguente riduzione del senso di emarginazione e solitudine a cui prima i pazienti psichiatrici erano soggetti.
Il lavoro di rinnovamento strutturale e organizzativo si è legato indissolubilmente a un profondo mutamento ideologico e concettuale. L’attenzione agli aspetti umani della sofferenza psichica e la considerazione della dolorosa frattura comunicativa che la patologia provoca nella persona hanno costituito dei nuovi e necessari presupposti teorico metodologici della cura istituzionale.
Gli esperimenti anti istituzionali come quello, più conosciuto, di Basaglia a Gorizia o quello di Borgna a Novara testimoniano quanto in Italia fosse viva l’urgenza di un’apertura e di una svolta legislativa, ma soprattutto etica ed epistemologica.
Nei trentotto anni trascorsi dall’approvazione della legge 180 l’Italia ha visto la diffusione e lo sviluppo delle Comunità terapeutiche, dispositivi dinamici e aperti in cui la persona è accolta e stimolata a riprendere il cammino della sua vita psichica.
L’irreversibile processo trasformativo che ha coinvolto le istituzioni psichiatriche è ancora oggi una sfida aperta che necessita una continuità nell’impegno e nella riflessione sulla natura e la cura della mente umana.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
Basaglia, F. (1968). L’istituzione negata, Torino: Einaudi
Borgna, E. (1972). Del senso, e del non – senso, della psichiatria istituzionale, in “Minerva psichiatrica e psicologica”, 13
Borgna, E. (2008). Nei luoghi perduti della follia, Milano: Feltrinelli
Berengo Gardin, G. (2015). Manicomi. Psichiatria e antipsichiatria nelle immagini degli anni settanta, Roma: Contrasto
Vigorelli, M., Foresti, G. & Ferruta, A. (2012). Le comunità terapeutiche: psicotici, borderline, adolescenti, minori, Milano: Cortina