Car* Amic* del #CSCP,
oggi vogliamo condividere con voi il contributo di Matteo Romiti, psicologo, psicoterapeuta. Quello che ci offre è il suo personale sguardo sulla situazione attuale e sulle cose che ci restano. O forse più che ci restano, le cose che ritroviamo, come il tempo. In questo pezzo si pone e ci pone degli interrogativi riguardo a questo tempo ritrovato. Questo tempo offertoci in dono, è davvero gradito?
Noi del CSCP, mossi da questi interrogativi, abbiamo deciso di provare a rispondere con un’iniziativa che prenderà proprio il nome di #IlTempoRitrovato e che troverà posto nelle prossime settimane qui, sulla pagina del Centro Studi per la Cultura Psicologica, ma anche su altre piattaforme che vi sveleremo presto.
Per il momento vi lasciamo alla lettura del contributo di Matteo Romiti.
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Un giorno qualsiasi alcune persone, tra cui forse noi, tornano come d’abitudine a casa. Nei gesti c’è la consuetudine di sempre. Non sanno che proprio nelle abitazioni in cui vivono, al riparo dai pericoli, insieme a loro c’è un ospite inatteso. Un ospite invisibile che percorre le stesse nostre traiettorie da una stanza all’altra, che si siede e sdraia dove lo facciamo noi. Quest’ospite è pretenzioso e richiedente. Utilizza la nostra energia, poiché lui non ne ha di propria. Consuma le nostre risorse, come qualsiasi ospite in fondo farebbe. Sovverte il nostro ordine interno, come spesso molti ospiti, inevitabilmente, in una qualche misura fanno.
Certi ospiti infatti, come è noto, con il tempo acquistano sempre maggior padronanza dell’ambiente in cui si trovano, in un passaggio di consegne silenzioso che li eleva a padroni. E’ il momento in cui le loro reali intenzioni diventano più evidenti, confrontandoci con le conseguenze.
L’ospite inatteso è ora anche manifestamente sgradito, ossessionato dal suo triplice mantra. Riprodursi, trasmettere, evadere.
Il primo confronto, complesso, è già in atto.
Come si concede credito a ciò che non si vede?
Oppure, come si concede credito a una cosa che non si vede e a proposito della quale non è possibile individuare un’univoca e autorevole fonte di conoscenza?
L’accesso illimitato alle informazioni e la possibilità di divenirne creatori richiede una certa quadratura interna, affinché le angosce più intime non si trasmettano ad un circuito in grado di moltiplicarle spesso acriticamente. Un funzionamento tutto sommato virale, dove ancora una volta sotto una spinta irrinunciabile, qua ansiogena anziché genetica, il programma di diffusione procede senza una direzione precisa se non quella di confermarsi, alimentando lo schema trasmissivo.
Una duplice complicazione sembra quindi essere in atto.
Concedere credito a una forza destabilizzante e invisibile, che colpisce sempre qualcuno che non si conosce, l’altro, facendosi carico delle ristrettezze che impone.
Orientarsi in un circuito informativo reso ormai per sua natura irregolare dalle costanti infiltrazioni laterali, che spesso a causa della loro immediatezza e semplicità e velocità di assunzione vengono predilette all’ambito tecnico. Un ambito tecnico che, per quanto posto esso stesso al confronto con alcune mancate risposte, avrebbe il grande vantaggio di circoscrivere e contenere al suo interno anche le domande in attesa di soluzione.
Come si può compiere il passo ulteriore, in una direzione tesa a eseguire un’azione di contrasto?
Non tutti i paesi coinvolti hanno le stesse possibilità. Per conformazione culturale, geografica e burocratica il nostro può utilizzare le misure coercitive fino al punto in cui le ha usate, o forse poco di più. Sono necessarie quindi ulteriori risorse. Risorse con le quali, ad esempio, paesi strutturati in modo dittatoriale hanno una possibilità inferiore di entrare in contatto, poiché le imposizioni governative agiscono in modo talmente duro da soffocare l’emergenza di massa di alcuni sentimenti.
Una di questa possibilità può essere la fiducia. Come sempre, una delle richieste più difficili da accordare nei momenti di crisi ignota. Tuttavia la stessa imperscrutabilità della crisi può al medesimo tempo creare il terreno per volersi fidare, per credere nell’evoluzione positiva.
L’ambientazione rarefatta in cui l’Italia è improvvisamente scivolata potrebbe non avere quindi a che fare soltanto con la paura. Il nuovo virus che serpeggia tra le vie deserte è la fiducia, alla caccia dell’organismo virale che lo ha evocato. Fiducia è quindi una delle parole possibili nella contro lettura di ciò che stiamo vivendo. E’ probabilmente lei una delle protagoniste della nostra reclusione domestica. Fiducia che anche gli altri faranno al meglio e che il nostro comportamento ci proteggerà.
Ma quali sono le conseguenze immediate della nostra immobilità? Un tempo ritrovato, come suggerisce il titolo della rassegna in un’accezione dai contorni positivi.
Ma è veramente così? Il tempo che improvvisamente ci è stato restituito, senza essere richiesto, è un dono gradito?
Un’interpretazione possibile, e appunto gradita, sarebbe quella di rispondere affermativamente a questa domanda. Tutto ciò che si è perduto e viene riconsegnato dovrebbe essere motivo di gioia. Avere più tempo per se stessi.
Ma qual è la natura di questo tempo?
E’ impossibile rispondere a questa domanda, poiché la qualità non può essere univoca, come i contatti con le persone di nostra conoscenza e il lavoro con i pazienti, che prosegue attraverso chiamate o videochiamate, ci sta mostrando.
Un uomo conduce da circa un anno una vita da singolo, a seguito di una separazione ottenuta d’accordo con la ex moglie. Il lavoro abitualmente lo assorbe a fondo, concedendogli solo le ore residue del giorno per le proprie attività. Ma spesso la stanchezza e l’idea della giornata successiva, già così vicina, si allungano sulla sera rendendola vana. L’uomo nell’attuale periodo di confino casalingo si è accorto della preziosità di questo tempo, trovandosi a suo agio di fronte alle giornate semivuote. Qualcosa dentro di lui attendeva solo l’occasione. Ciò che lo preoccupa è l’inevitabile diminuzione di contatti nei rapporti con il figlio, ma ha fiducia che passerà ed è attratto da ciò che potrà organizzare e pensare in questo tempo.
Una donna vive con il marito e i tre figli. Il loro matrimonio ha subito dei contraccolpi violenti a causa di un tradimento che lei stessa ha commesso. E’ emerso più volte il timore di un confronto profondo, che coinvolga responsabilità e motivazioni apparentemente inconfessabili. Che accezione possiamo dare al tempo ritrovato in questa situazione? Una condanna di difficile sopportazione, all’interno della quale gestire tensioni irrisolte e tre bambini chiusi dentro la stessa casa? Una fortuna, per essere stati messi finalmente l’uno di fronte all’altra in una sorta di terapia d’urto? O forse solo una possibilità, attraverso la quale concedere ai propri dolori di iniziare a intravedersi?
Un ragazzo abita in una palazzina ai margini di un paese. Una sistemazione che non ha mai gradito, poiché i campi oltre la sua abitazione gli restituiscono una sensazione di tristezza. Teme che il virus si stabilizzi modificando in modo definitivo le consuetudini sociali, cristallizzando le città in luoghi nei quali le persone saranno costrette a schivarsi. Una paura previrale, che risuona già da tempo in lui.
Una comunità ospita un ristretto numero di ragazzini. Il tempo è ritrovato anche per loro, sebbene non lo abbiano ancora perduto, come potrebbe accadere più avanti. Le attività scolastiche sono sospese o procedono con intermittenza. La piattaforma elettronica si è già inceppata due volte, generando grida di gioia. Il clima è comunque positivo, prevale il tempo che si può trascorrere negli ampi spazi della struttura, fatto di giochi e strane forme di libertà dagli impegni giornalieri. Il personale tenta di responsabilizzarli rispetto a ciò che sta accadendo, spiegando loro la gravità del momento. I ragazzini ascoltano finché possono, poi tornano alla loro parziale inconsapevolezza, tentando gli adulti.
Un ragazzo è stato esposto in modo significativo sul luogo di lavoro e si trova in quarantena a casa, in attesa di essere sottoposto agli accertamenti necessari. Qual è la composizione del suo tempo ritrovato?
Una donna in carriera lavora da casa, ha scoperto il piacere di poterlo fare a intermittenza, tra caffè, letture e altri piccoli lussi casalinghi. Tutto è comunque organizzato, dice ridendo. E’ solo preoccupata per i genitori anziani. Alcuni giorni fa ha portato loro la spesa, la attendevano sul divano tenendosi per mano.
Forse non è possibile dire cosa ci sia nel tempo ritrovato, di che materiale sia fatto. Questa zona intermedia che si è creata può avere vari risvolti. Potrà rivelarsi facile, un dono gradito. Qualcosa in cui si troverà un buon equilibrio di convivenza, fino ad accendere fantasie di cambiamento radicale rispetto al prima. Potrà essere complesso, disorientante.
La sfida è in come possiamo assorbire il passaggio dalla normalità a uno stato non pensabile, se non a costo di uno stretto rapporto con le angosce che può evocare.
A prescindere da tutto, è una chiamata adattiva a cui siamo invitati a rispondere, cercando ognuno il rapporto con il proprio spazio creativo.
In una serie televisiva di discreto successo alcuni robot dalle sembianze perfettamente umanizzate vivono in una realtà ripetitiva, di cui non hanno percezione. A turno vengono richiamati per delle sedute di rapporto. Attraverso l’auto analisi ripercorrono fasi della loro vita. Progressivamente, alcuni acquisiscono una crescente consapevolezza e responsabilità.
La metafora è in prestito, non siamo robot, eventualmente, a volte, robotizzati. Forse è questo il tema che pone il tempo ritrovato. Così come la società è improvvisamente mutata rispetto a come la conosciamo, anche a noi è data l’opportunità di non pensarci sempre nello stesso modo. Raccoglierla è un’opzione.
Dott. Matteo Romiti
Psicologo Clinico, Psicoterapeuta individuale e di gruppo