PSICODRAMMA A DUE
La metodologia moreniana nell’intervento individuale
Giovanni Boria, Maria Caterina Boria
Lo psicodramma classico è quel metodo d’approccio psicologico finalizzato allo sviluppo personale, che utilizza i metodi d’azione basati sulla teoria, sulla filosofia e la metodologia di Jacob L. Moreno.
Storicamente lo psicodramma, nato nella prima metà del secolo scorso, ha rappresentato un importante passaggio dal trattamento dell’individuo singolo a favore del trattamento dell’individuo nei gruppi, e quello dal trattamento dell’individuo con metodi verbali al trattamento dell’individuo con metodi attivi.
La differenza di base fra lo psicodramma e le psicoterapie principalmente verbali consiste nel fatto che lo psicodramma è strutturato in modo da fornire all’individuo i mezzi attraverso cui risperimentare nel momento presente (hic et nunc) i bisogni psicologici centrali della sua vita.
Invece che a “parlare ” dei suoi problemi, il soggetto/paziente è aiutato ad “immergersi” nella sua realtà emotiva, rendendo attuali i suoi vissuti, siano essi riferiti al passato o a prospettive future.
La catarsi emotiva e la presa di coscienza che si realizzano nell’esperienza psicodrammatica possono essere talmente immediate, vivaci ed intense da determinare modificazioni durature del modo di funzionamento dell’apparato psichico.
Lo psicodramma si realizza, nella sua forma tipica, all’interno di un gruppo, ma il tema della possibilità di applicarlo correttamente anche in situazioni in cui il soggetto/paziente sia una sola persona, circola ormai da decenni negli ambienti moreniani e ha trovato di recente una sua formalizzazione specifica.
Questo contributo intende dare concretezza a quello che noi chiameremo “psicodramma a due” da ‘psicodramma à deux’, etichetta anglo-francese con cui si è inizialmente indicato il lavoro psicodrammatico quando l’utenza non è un gruppo bensì un singolo individuo.
Il setting dello psicodramma a due: spazio terapeutico, direttore, protagonista
Gli elementi che caratterizzano il setting dello psicodramma a due sono essenzialmente tre: lo spazio terapeutico, il direttore e il protagonista.
Lo spazio terapeutico
Lo spazio terapeutico nello psicodramma di gruppo è il “teatro di psicodramma”. Esso è il luogo dove le persone esternalizzano, concretizzandoli, i propri contenuti mentali. Una caratteristica del “teatro di psicodramma” è quella di presentarsi come un ambiente “differenziato”, cioè come un luogo peculiare, capace di creare uno stacco netto dall’ambiente di vita usuale e di predisporre l’individuo al coinvolgimento nella situazione psicodrammatica.
Questa differenziazione viene mantenuta anche nel setting dello psicodramma a due; lo spazio terapeutico è infatti organizzato in modo che le interazioni (in questo caso solo tra soggetto/paziente e direttore/terapeuta) avvengano in modo del tutto peculiare. Esso è strutturato in modo da non favorire l’interlocuzione, bensì suscitare azioni ed interazioni nuove ed impreviste. L’obiettivo è non fornire l’esca per il riproporsi di quella dinamica circolare (essenzialmente verbale) tra paziente e terapeuta che caratterizza il colloquio.
Nello spazio terapeutico destinato allo “psicodramma a due” si possono individuare due spazi ben distinti per disposizione e per funzione, definiti rispettivamente MACROSPAZIO e MICROSPAZIO.
Nel MACROSPAZIO lo spazio terapeutico si presenta così strutturato: un sedile “importante”, collocato in posizione centrale, su cui si accomoda il soggetto/paziente; un altro sedile, meno evidente e piuttosto decentrato, per il direttore/terapeuta. Questa struttura spaziale assegna al soggetto/paziente una collocazione di primo piano, ma che non obbliga ad un contatto del tipo vis à vis col direttore/terapeuta.
Nel MICROSPAZIO lo spazio terapeutico è costituito da un palcoscenico miniaturizzato che richiama lo spazio destinato all’azione scenica nel “teatro di psicodramma”. Esso è simboleggiato da un piccolo oggetto rotondo ricoperto da moquette bianca, che fa da supporto ad altri oggetti che rappresentano le persone e le cose della scena.
Il MACROSPAZIO è il luogo dell’incontro di realtà fra due persone in carne ed ossa, mentre il MICROSPAZIO trasferisce le relazioni su un piano del tutto simbolico e concentra la persona sul suo mondo interno.
Il direttore
Il direttore (o psicodrammatista) è il responsabile della seduta di psicodramma: promuove l’azione, segue la messa in scena e la dinamica interna del soggetto/paziente. Il termine ‘direttore’ esprime il ruolo attivo e propositivo che caratterizza la sua presenza all’interno del lavoro terapeutico. Questa figura entra con tutta la sua personalità nel rapporto con il soggetto/paziente, mostrando la sua disponibilità a farsi conoscere nella sua peculiare umanità ed evitando l’atteggiamento neutro presente in altre forme di psicoterapia. Egli favorisce un’esperienza di rapporto umano diretto, immediato, permeato di emozioni, che possa configurarsi come modalità positiva di relazione interpersonale.
Il direttore/terapeuta è l’unico “altro” presente nel setting duale. Il suo compito è quindi quello di fornire al soggetto/paziente il maggior numero possibile di stimoli connotati da umanità reale (quell’umanità che nel setting gruppale sgorga da fonti molteplici). Egli usa con parsimonia la comunicazione verbale (saluto iniziale e finale, consegne per attivare il paziente, interventi di doppio, interventi di specchio), avendo anche chiaro che il rischio di accedere a forme colloquiali è sempre in agguato. Pone invece particolare attenzione e cura all’uso del corpo, considerato come elemento percettivo che evita di dare alla scena il tono di staticità tipico della modalità colloquiale.
Il direttore predispone uno spazio adatto ad ‘accogliere’, ma contrariamente a ciò che avviene nel setting gruppale, non viene usato il ‘tu’ come forma comunicativa fra terapeuta e paziente: la formalizzazione dei ruoli in questa relazione così stretta consente di non scivolare in una relazione inappropriatamente amicale.
Il protagonista
Il setting psicodrammatico è fruibile solo dopo che il soggetto/paziente abbia avuto dei contatti preliminari con il direttore/terapeuta per definire un contratto che autorizzi l’avvio della terapia psicodrammatica a due e per avviare un’alleanza di lavoro.
In una sessione di psicodramma gruppale le consegne del direttore conducono alla situazione in cui emerge una persona che lavora come ‘protagonista’: un componente viene scelto dal gruppo, o si auto-propone, per mettere in scena i propri vissuti personali ed esplorarli attraverso l’azione psicodrammatica. Ogni partecipante sceglie il tempo in cui si sente pronto ad essere ‘protagonista’, ad essere, cioè, colui che rappresenta il suo psicodramma.
Nello “psicodramma a due” si potrebbe dire che il paziente è sempre ‘protagonista’. Egli, grazie alla rappresentazione psicodrammatica con cui esplora certe zone del suo mondo interno, si chiarifica e corregge quelle modalità di funzionamento mentale che risultano inadeguate alle sue esigenze di benessere psichico.
La sessione di psicodramma a due: dal MACROSPAZIO al MICROSPAZIO e ritorno
La sessione di psicodramma è l’unità temporale all’interno della quale si svolge un lavoro psicodrammatico unitario è compiuto.
Una seduta di “psicodramma a due” è costituita da tre momenti: il “riscaldamento” nel MACROSPAZIO, la rappresentazione scenica nel MICROSPAZIO, il ritorno alla realtà nel MACROSPAZIO.
La fase del riscaldamento ha lo scopo di creare tra il direttore ed il protagonista un clima di spontaneità, intesa come quel fattore che permette di evitare comportamenti stereotipati, ripetitivi, inefficaci e in grado di stimolare l’invenzione di modi nuovi e più adeguati di agire.
Il direttore può avviare il processo di riscaldamento in diversi modi: può cominciare con una discussione informale all’inizio della seduta; può “pescare” alcuni argomenti usando il metodo delle libere associazioni; può dare risalto ad un episodio che riguarda la vita del protagonista.
Quando nella fase di “riscaldamento” viene messa a fuoco l’immagine che sarà oggetto della rappresentazione scenica, ci si sposta nel MICROSPAZIO e il modo di procedere cambia completamente rispetto alla fase precedente poiché si passa da una situazione di realtà a un’altra del tutto simbolica.
Con il passaggio dalla zona MACRO alla zona MICRO viene illuminato solo il piccolo palcoscenico, con il risultato di creare nel protagonista una concentrazione visiva di qualità quasi ipnotica (vedi figura 2).
Il lavoro psicodrammatico nel MICROSPAZIO inizia con la preparazione della scena, che ha lo scopo di ‘riscaldare’ il protagonista alla sua rappresentazione in modo che egli possa essere globalmente partecipe, nel “qui ed ora”, della situazione che sta per vivere sul palcoscenico.
La costruzione della scena in tutti i suoi dettagli di spazio e di tempo; la collocazione e la descrizione degli oggetti; la presentazione della propria persona; l’incontro con altre persone coinvolte nella scena: tutto ciò costituisce un insostituibile stimolo alla spontaneità del protagonista (vedi figura 3).
Una volta costruita la scena si dà il via all’azione. Ci sono diverse forme di rappresentazione:
- Giocare un ruolo nuovo e inusuale
- Riprodurre o esprimere una scena passata
- Tirare fuori un problema che al momento attuale è pressante
- Creare la vita sul palcoscenico
- Confrontarsi con una possibile eventualità del proprio futuro
Ogni forma di rappresentazione è finalizzata a stimolare nel protagonista le funzioni mentali elettive per un cambiamento personale in senso evolutivo. Si tratta del doppio, cioè della funzione auto osservativa che coglie e dà forma verbale ad un contenuto mentale; dello specchio, cioè di quella dinamica mentale che consente a un individuo di cogliere aspetti di se stesso nelle immagini relative alla sua persona, costruite da altri e a lui rimandate; del decentramento percettivo, che mette l’individuo in condizione di fare esperienza di se stesso dal punto di vista di un’altra persona.
Il direttore non formula delle interpretazioni verbali volte a chiarificare al protagonista i meccanismi psicologici in cui si trova coinvolto: ciò frenerebbe il processo di globale coinvolgimento della persona avviato dall’azione psicodrammatica e favorirebbe dei meccanismi razionalizzanti dal significato difensivo. La funzione interpretativa si esplica attraverso la strategia che questi segue nel determinare la scelta e la successione delle scene da rappresentare. Rivivendo tali scene, approfondendo certi particolari, ripetendo alcune azioni, il protagonista si chiarifica il proprio mondo interno e giunge – in un tempo commisurato ai ritmi del suo funzionamento mentale, con le immagini e con le parole per lui più significative – a darsi la spiegazione di ciò che prima dentro di sé gli appariva misterioso e incomprensibile.
Prima di terminare la rappresentazione il direttore deve essere sicuro che il protagonista lascerà il MICROSPAZIO con un buon livello di integrazione; cioè con uno stato d’animo in cui il momentaneo sconvolgimento delle sue percezioni interne ritrovi dei sicuri punti di riferimento per ricomporsi. Da ciò spesso consegue la proposta che egli fa al protagonista di sperimentare, nelle scene conclusive, dei ruoli gratificanti che soddisfino bisogni solitamente non corrisposti.
Il ritorno alla realtà, momento di uscita del paziente dal suo percorso da protagonista, comporta di abbandonare il simbolico e quindi di uscire dal MICROSPAZIO per ritornare anche fisicamente nel MACROSPAZIO. Qui il protagonista ed il direttore si ritrovano come persone reali che si scambiano la propria umanità. Le parole di congedo del direttore potranno avere la forma di uno specchio empatico rivolto al paziente, equivalente alla funzione della partecipazione dell’uditorio alla fine dello psicodramma gruppale.
Il tempo necessario per condurre una sessione di questo tipo può oscillare fra i 60 e i 75 minuti, tenendo conto che il lavoro con il protagonista – richiedendo una sua compiutezza – non può essere affrettato né tantomeno venire interrotto.
Considerazioni finali
Mentre gli approcci psicologici ad orientamento comportamentista si concentrano sull’osservazione del comportamento ‘esteriore’ degli individui e altri, come la psicoanalisi, all’altro estremo, si focalizzano sull’elemento soggettivo, limitando al minimo lo studio del comportamento diretto e ricorrendo all’uso di sistemi elaborati di interpretazione simbolica, il metodo psicodrammatico porta ad una sintesi questi due estremi. Esso è stato ideato in modo da poter esplorare e trattare il comportamento individuale in tutte le sue dimensioni, quella soggettiva e quella oggettiva, quella interiore e quella esteriore (approccio olistico).
Poiché non è possibile penetrare in una mente e guardare ciò che l’individuo percepisce e sente, lo psicodramma tenta, con la cooperazione del paziente/protagonista, di trasferire la mente ‘al di fuori’ dell’individuo e di obiettivarla in un universo tangibile e controllabile.
Nello psicodramma il protagonista viene prima di tutto preparato per un incontro con se stesso; dopo una prima fase di oggettivazione, inizia la ri-soggettivazione, la riorganizzazione e integrazione di ciò che è stato oggettivato.
Nel MACROSPAZIO il direttore può offrire in modo peculiare un’esperienza reale di empatia palpitante e di viva presenza anche corporea. Una sessione potrebbe talvolta anche esaurirsi nell’attivante esperienza condotta in questa zona di relazioni reali, bypassando l’atmosfera più intensa ed interiore che solitamente caratterizza il MICROSPAZIO.
Il MICROSPAZIO è molto suggestivo, quasi ipnotizzante. Il protagonista è come se si ritirasse in se stesso per avvolgersi in un sogno, condotto – da dietro le quinte – dal direttore che interviene con discrezione e si presta, quando risultasse opportuno, a fare eco alle battute dei personaggi in scena.
Prezioso è il momento conclusivo di ritorno alla realtà all’interno del MACROSPAZIO: qui il direttore riappare con tutta la sua concreta umanità per facilitare un ritorno integrato del paziente nella sua quotidianità.
Nello “psicodramma a due”, rispetto allo psicodramma gruppale, manca, come è ovvio, l’integrazione multipla che consente di trovare e di offrire materiale di identificazione e che va costruendo quel contenitore arricchente che chiamiamo co-conscio e co-inconscio, ma è risultato che un setting duale ben costruito consente di surrogare molti di questi effetti positivi della situazione gruppale.
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