Recensione di "Orecchie rosa" di Pax Paloscia dalla penna della dott.ssa Marta Tironi
Non giudicare il libro dalla copertina
(o dal numero di pagine, o dall'editore, o dall'autore)
Titolo del libro: Orecchie rosa
Autrice: Pax Paloscia
Anno di pubblicazione: 2021
Editore: Gonzo Editore
Pagine: ns
Cosa leggiamo?
Leggere Orecchie rosa è come leggere il bigino della tua psicoterapia.
In quarta di copertina, scritto piccolo piccolo, ci viene confessato che “ogni riferimento a persone realmente esistite o fatti realmente accaduti è fittizio (…) dove non sai mai se l’autore sta mentendo o dicendo la verità”. Cos’è d’altronde una psicoterapia, se non la ri-lettura e la ri-narrazione di quella sfilza di esperienze che hanno costellato la nostra vita, dalla culla alla tomba?
Si inizia sempre con una “certezza (di essere stati amati male)” e, come nel miglior film esistenzialista, la facciona della nonna si staglia sulla pagina in un rincorrersi di identificazioni dove mia nonna è sua mamma che è mia mamma. Così Pax gioca con noi pubblico la sua partita con se stessa e, alla fine, arriva a giocare con tutto, “perfino coi traumi”, come scrive una sua lettrice in una recensione.
Ti serve un ripasso sulla relazione con tuo padre e tua madre? Vuoi capire meglio da dove deriva quell’ossessione che ti tiene svegliə la notte? Ti chiedi perché sei finitə a fare delle cose per cui ti penti inesorabilmente? In questa libroterapia puoi trovare una risposta a tutto, solo che spesso è caustica, tagliente, dolorosa e talvolta insensata. Ogni segmento dell’esistenza viene riletto a più riprese, in una masnada di parole e immagini in cui “non puoi restituirti un passato migliore, ma puoi evitare di fare a te stesso ciò che ti è stato fatto”.
Pax muove le pedine del gioco dell’oca della vita saltando dalle caselle dell’infanzia a quelle della maturità senza passare dal via. Si cade con lei nei tremendi tranelli del senso di colpa, si salgono a fatica gli scalini dell’autoaffermazione, si sguazza in un mare di lacrime e ci si ritrova nudi e infreddoliti sulle montagne del desiderio. Ma, al contempo, si impara a ridacchiare più o meno sguaiatamente quando s’incontrano i fantasmi, a volte ridicoli a volte così amati e temuti. Poi si lancia il dado e riparte la follia.
Le lettere che Pax unisce, come puntini di un grande disegno, diventano parole che si incidono nella carne o che fuggono via, “piccoli esercizi di libertà” che sembrano essere l’unico modo per guadare il fiume di ciò che è stato: “muoversi attivamente verso le cose”, ci ricorda. E verso le persone: perché sono gli incontri che, ancora una volta, salvano. Come quando Pax ci racconta di quella sua stravagante insegnante di teatro che le gridò di levarsi di dosso il mini regista che teneva sulla spalla, moderna rappresentazione di quel Super-Io che ci giudica col dito puntato tanto caro a nonno Freud. O quando incontriamo l’amicizia, quella “isola dove puoi camminare finalmente a piedi scalzi e sentirti di nuovo leggero”. Chi non la vorrebbe sempre nel taschino un’isola così? C’è chi lo ammette, e chi mente.
Nella corsa a ostacoli “contro il territorio dell’incertezza” finiamo anche insabbiati nella palude del “Daje Lama”, un’iconica e modernissima sfinge de noaltri, ma con la permanente. Il lama ci sputa in faccia tutta le contraddizioni che gli umani si scambiano, dove è un attimo perderci di vista: “accogli il disagio, ma guarda altrove; lascia scorrere gli istinti aggressivi, ma incazzate; insisti, ma non tirare troppo la corda”. Nel dubbio, quindi, si sta fermi. Per ritrovarsi poi c’è bisogno di far prendere aria al cuore, portarlo a spasso come Cappuccetto rosso fa con la merenda. Oppure si tratta di essere onesti con se stessi e far delle ferite le nostre feritoie, da cui far entrare la luce dell’alba. Altre volte si può lasciare che le cose facciano il loro corso, oppure si può imparare a dire: no, non ci sto!
O a riderci su.
Ah. Orecchie rosa è anche una graphic novel. Parola e tratto grafico diventano cornice e contenuto in cui uno si riconosce come estensione dell’altro in reciproco dialogo. Dentro un bianconero sapiente e graffiante, che a volte sa quasi trapassare la pelle, l’unica nota di colore sono quelle orecchie rosa che sobbalzano di pagina in pagina, feticcio identitario e segno indelebile di unicità insieme.
Il messaggio che Pax veicola non è fedele ad un solo messaggero, bensì respira, trattiene e si rimescola con i suoi maestri newyorkesi: da Basquiat a Larry Clark e Ari Marcopulos fino a inglobare fotografi come William Eggleston o registi come Wenders[1]. L’autrice inserisce a più riprese anche auto-rivelazioni artistiche, come unə buonə analista farebbe con i suoə pazienti sul lettino: inventare per lei diventa un rifugio e dipingere serve per “sopravvivè a sto teatro”. E a noi, invece, leggerla a che serve? Se tendiamo le nostre orecchie, possiamo ascoltare le parole che rimangono…
[1] Da un’intervista con l’autrice su www.vogue.it dell’11 aprile 2022
Tre parole che rimangono
Esperienza: Pax ce lo dice chiaro, qual è la vera messa alla prova di questa libroterapia: “non è l’esperienza in sé. Il problema è che cosa fai con quell’esperienza”. Veniamo sfidatə a pensare e, spesso, a ricrederci, a rivalutare, a smussare. E, infine, a portare a spasso la nostra esperienza anziché scappare da lei, trovando insieme un bel prato dove rincorrerci. In soldoni, siamo invitatə a scegliere.
Luci & Ombre: il gioco di chiaroscuro che serpeggia lungo tutta la graphic novel parla alle nostre zone d’ombra, di cui siamo spesso poco conscə, e ci spinge ad allenarci a vederle per riuscire a cogliere anche quelle deglə altrə. Ma richiama a gran voce anche le nostre zone di luce, quelle che si infiltrano nelle fessure o che dominano la pagina come un luminoso super-potere, in cui percepire il dono di sentirci “di-versi”, anziché “di-meno”.
Ironia: “Se guardi le cose dal punto di vista del figlio dici e che cazzo. Se la guardi come essere umano magari dici maledizione poraccio”. Non si riesce a non ridere cantilenando in romanaccio le strofe di questa bizzarra storia che è la vita, con tutta la costellazione di personaggi che la abitano. La risata, impalpabile terzo autore insieme a parole e disegno, ci spiazza e ci alleggerisce perché, per dirla alla Freud, “Scherzando si può dire di tutto, anche la verità”.
Non ci resta che...
Metterci del nostro e regalare un nuovo look alla nostra storia. Daje!