Non giudicare il libro dalla copertina (o dal numero di pagine, o dall'editore, o dall'autore)
Titolo del libro: Una casa alla fine del mondo (Originale: “A home at the end of the world”)
Autore: Micheal Cunningham, 6/11/1952
Anno di pubblicazione: 1990
Editore: Bompiani (Originale: Farrar, Straus and Giroux)
Pagine: 368
Commento a cura di: Alberto Milesi
Cosa leggiamo?
La dedica iniziale dell’autore al proprio compagno “Questo libro è per Ken Corbett” permette al lettore di entrare da subito nelle note affettuose che caratterizzeranno tutto il libro.
“Una volta nostro padre comprò una decappottabile. Avevo cinque anni. La comprò e la porta a casa con la stessa disinvoltura con cui avrebbe portato una confezione di gelato. Immaginate la sorpresa di nostra madre. Lei che avvolgeva in strisce di gomma le maniglie delle porte. Lei che lavava i vecchi sacchi di plastica e li stendeva ad asciugare, tanto da farli sembrare una fila di turgide meduse addomesticate che fluttuavano al sole. Immaginatela nell’atto di sfregare via l’odore del formaggio da un sacchetto di plastica già riciclato tre o quattro volte, nello stesso momento in cui nostro padre s’accostava su una Chevrolet decappottabile, usata certo ma pur sempre un paesaggio mobile di metallo, paraurti cromati ed ettari di carne-macchina d’argento fuso incredibili a vedersi.” così si apre Una casa alla fine del mondo, un romanzo che scende nel profondo del nostro essere, scenario di battaglie tra i nostri più intimi desideri e il rispetto delle norme sociali. Questa è la storia di un’amicizia e di un amore che prende forma a Cleveland, Ohio, nel 1962 e continua attraversando gli Stati Uniti d’America e gli anni ’70 e ’80.
L’autore ci fa conoscere nei primi due capitoli i due protagonisti che accompagneranno tutta la trama del libro: Jonathan e Bobby. Sono due bambini di 5 anni, nati e cresciuti a Cleveland, Ohio, e sembrano condurre la stessa vita ordinaria che caratterizza l’immaginario comune americano. Grattando la superficie però ci si rende subito conto che entrambi hanno fin da subito una vita in parte diversa dai loro coetanei. Jonathan, invece di trascorrere le proprie giornate in mezzo agli altri bambini a giocare in compagnia, passa molto tempo in casa, da solo, a prendersi cura delle bambole e a truccarsi con i cosmetici della madre; questo sembra preoccupare molto il padre di Jonathan, uomo tradizionalista degli anni ’60 che preferirebbe un figlio più “mascolino”. Bobby, secondo figlio di due, viene instradato alla droga molto precocemente dal fratello maggiore Carlton, con cui assume acidi e altri tipi di droghe, che lo adultizzano molto precocemente. Già in infanzia, un terribile elemento li accomuna: entrambi perdono un fratello; Carlton muore tragicamente in un incidente domestico all’età di 16 anni, mentre la sorella neonata di Jonathan non riesce a superare il parto. Questo costringe entrambe le famiglie di appartenenza a ritirarsi a proprio modo in una bolla di dolore e angoscia trasformativa, che porta inevitabilmente a un cambiamento drastico nelle loro vite.
In men che non si dica, ci ritroviamo alle medie con i due protagonisti che si conoscono alla fila della mensa e in maniera totalmente improbabile, visti i due caratteri, stringono amicizia. Un’amicizia che fin da subito ha quel qualcosa in più, quella sensazione viscerale emotiva che si smuove ogni volta che uno vede l’altro. Scoprono nel tempo di essere entrambi appassionati di musica, la stessa musica a cui Carlton aveva iniziato Bobby. Trascorrono così i loro 15 anni chiusi in cameretta a casa di Jonathan ad ascoltare il rock dell’epoca e a fumare marijuana. Attraverso questo fumoso rapporto rallentato e distorto dagli effetti della droga, si attualizzano le prime esperienze sessuali tra i due, alla scoperta di un mondo ignoto e tutto da esplorare.
Quando però a 18 anni entrambi si diplomano, Jonathan decide di buttarsi nel mondo nel modo più americano possibile: si trasferisce a New York, lasciando per diverso tempo Bobby a Cleveland, ormai orfano di entrambi i genitori. Solo anni dopo Bobby deciderà di trasferirsi anch’egli a New York, dove trascorrerà diverso tempo in compagnia di Jonathan e Claire, la sua coinquilina, con cui nascerà un rapporto amoroso del tutto imprevisto.
Tra allontanamenti, litigi, baci e funerali, gli ormai tre protagonisti del romanzo si ritroveranno ad affrontare l’invecchiamento e il passaggio all’età adulta in una casa alla fine del mondo, a pochi chilometri da Woodstock, luogo in cui ognuno deciderà come trascorrere il resto dei propri giorni.
Una casa alla fine del mondo è il secondo romanzo con cui Michael Cunningham si fa spazio nel mondo della scrittura, e lo fa con una profondità e una delicatezza sconfinata. Allo stesso tempo il libro riesce a travolgere il lettore profondamente, attraverso diversi colpi di scena inaspettati e silenzi lunghi capitoli. Inoltre, la peculiarità del libro è data dalla composizione dei capitoli, che sono divisi per personaggio, e ogni capitolo narra una serie di eventi solamente dalla prospettiva di uno di loro, per cui alcuni momenti verranno letti solo attraverso gli occhi di Jonathan mentre altri solamente da quelli di Bobby, o ancora da quelli di Claire. La maestria di Cunningham risiede proprio nella capacità di farsi riconoscere attraverso lo stile di scrittura comune ai diversi capitoli, ma riuscendo allo stesso tempo ad attribuire un dialogo interiore specifico con caratteristiche linguistiche differenti a ogni personaggio. Nel complesso è la storia di un’amicizia e di un amore, ma che contiene dentro le migliaia di sfumature dell’esperienza umana.
Tre parole che rimangono
Amore: all’interno del romanzo sono presenti differenti storie d’amore, ognuna caratterizzata dalla propria unicità, e ognuna porta con sé le proprie criticità. Dall’amore di Jonathan e Bobby, incondizionato, puro e quasi al limite del fraterno, all’amore di Ned e Alice, genitori di Jonathan, che sembra essere profondo e struggente in alcuni momenti, e totalmente assente in altri, ci si trova di fronte alla manifestazione delle diverse sfaccettature che l’amore assume nella vita.
Famiglia: Si può dire che questo tema è stato ricorrente più o meno nei libri suggeriti dalla nostra rubrica, e anche in questo si trova la visione personale dell’autore rispetto alla famiglia. Cunningham ci mostra come ogni famiglia abbia i propri punti di forza e le proprie debolezze, e alcune, che non corrispondono allo stereotipo comune di famiglia, possono funzionare anche meglio di quelle comuni.
Diversità: Il romanzo insegna al lettore ad affrontare le diversità del mondo senza giudizio. Dal piccolo Jonathan che gioca con le bambole, alla relazione omosessuale tra i due protagonisti, alle vicende amorose con Claire, il libro permette di comprendere la profondità dell’esperienza umana che per definizione è complessa, diversificata e unica; il tutto viene raggiunto con estrema facilità e limpidezza.
Non ci resta che...
Un romanzo intenso, colmo di dolore e amore, che ci insegna modi diversi con cui vivere la vita, prendendo le distanze da quelle che sono le regole imposte dalla società.
Questo articolo è stato reso possibile grazie al prezioso contributo della libreria “Le notti bianche” di Vigevano, che combatte ogni giorno per portare un po’ di cultura in questo mondo.